L’istituzione
Per tutto il XIV sec. la Fabbrica continua a reggersi sulla consueta “gestione mista”, con la comparsa, anche se meno frequente, del vescovo e del capitolo nella scelta del capomaestro, del camerario e del notaio o nella determinazione dei salari, sebbene si moltiplichino gli interventi del comune nei confronti dell’Opera per ottenere mutui o manodopera specializzata da utilizzare nei suoi cantieri.
A porre fine a questa situazione è il primo Statuto dell’Opera a noi pervenuto, redatto nel 1421, come “conseguenza” della bolla pontificia del 1420, con cui Martino V, per mantenere buoni rapporti con la città di Orvieto in un delicato momento di riorganizzazione dello Stato della Chiesa, soddisfa la richiesta del comune di estromettere il clero dagli affari dell’Opera in favore di un’amministrazione esclusivamente laica.
Se da un lato lo Statuto rappresenta la codificazione di una prassi e il fondamento giuridico dell’Opera, dall’altro non segna l’inizio della sua autonomia, che finora era stata paradossalmente assicurata da un equilibrio fra autorità laica e ecclesiastica , che si controllavano a vicenda.
I capitoli del 1421 sono, infatti, frutto di un’operazione interamente promossa dal comune che, rivendicando la protezione e la cura della Fabbrica, in realtà esercita una piena egemonia su di essa, eleggendone gli officiali, amministrandone le entrate e intervenendo anche nella sua più recente attività assistenziale. Nell’organico fissato dallo Statuto sono confermati i quattro soprastanti, il notaio, addetto non solo alla tenuta dei libri di entrata e uscita, ma anche dei registri delle deliberazioni, delle vendite, delle offerte, delle subaste ed il camerario , che riceve gli introiti, si occupa delle spese ed è responsabile di masserizie, suppellettili, vasi sacri, arredi, istrumenti e diritti dell’Opera; questi “funzionari”, nominati per sei mesi fra i notabili cittadini , come gli altri officiali del comune, sono gli amministratori dell’Opera e alle loro deliberazioni deve uniformarsi tutto il “personale”, tra cui anche il capomaestro, eletto annualmente d’accordo con i Signori Conservatori del comune.
Oltre ai revisori dei conti, già presenti nelle norme del 1300, nello Statuto sono menzionati: il “dottiere“, deputato al controllo dei lavoranti nel cantiere e nella loggia, un esperto addetto alla manutenzione dell’orologio di Maurizio, posto sulla torre della piazza, un avvocato e un procuratore del foro orvietano e due “custodi della cera”.
Il problema dell'”intromissione” del vescovo e dei canonici nella gestione dell’Opera non sarà comunque risolto in modo definitivo; nel 1462 anche il clero tornerà a disporre della propria chiave della cassetta delle offerte posta all’interno del Duomo.
